Lunedi 22 marzo, 2004 |
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IL RUBICONE DI HARPER
Stephen Harper ha vinto
con un rispettabile margine la leadership del nuovo Partito Conservatore, ma
la sua capacità di mettere in pericolo il governo liberale alle prossime
elezioni è ancora da provare.
In base ai numeri egli è
riuscito ad abbattere la barriera geografica che bloccava il suo vecchio
partito, Canadian Alliance, al di là dei confine del Manitoba ottenendo un
discreto appoggio nel Québec e battendo i suoi due avversari, Belinda
Stronach e Tony Clement, in Ontario, cioè nella loro stessa Provincia.
La vittoria di Harper comunque, deve essere vista in un contesto più ampio
di quello che offre la scarna matematica.
La sua
vittoria è stata facilitata dall’incapacità di Clement di diventare un
candidato serio danneggiando quindi le possibilità di vittoria della
Stronach senza essere riuscito a mettere in pericolo il predominio di
Harper. Inoltre le colpe dell’organizzazione della Stronach, tradito da chi
le aveva promesso di conquistarle voti in Ontario ed in Québec. Certo, non
hanno avuto il tempo necessario a disposizione, ma hanno avuto oltre cinque
milioni di dollari che avrebbero potuto sfruttare meglio ed ottenere qualche
risultato in più, soprattutto in Ontario.
La sconfitta
di Belinda, however, non è stata comunque imbarazzante soprattutto se si
considera che è riuscita a diventare, in 59 giorni, da candidata derisa da
alcuni giornalisti e numerosi esperti politici, a elemento di spicco del
partito. Se infatti lei vince il suo seggio e Harper non riuscirà a
capitalizzare del momento magico dei conservatori per sfrattare i liberali
dal governo, Stronach potrebbe tornare di nuovo e con più autorità alla
ribalta.
Se i numeri
dunque assegnano ad Harper una chiara vittoria, il quadro complessico è
alquanto nebuloso. Vediamo perché.
In primo luogo
sui 250.000 iscritti, a votare si è presentato solo il 37 per cento.
Considerando che l’organizzazione di Harper è stata più solida e
considerando che aveva cominciato a lavorare da due anni, si può facilmente
affermare che la maggioranza di quelli che si sono presentati al voto sono
membri dell’ex Canadian Alliance, in alter parole i conservatori,
soprattutto i cosidetti “red tory” sono rimasti a casa.
Harper quindi
può avere superato la barriera geografica, certamente non ancora quella
ideologica. Il partito è unito come un vaso cinese rotto messo insieme con
la colla: la linea di rottura è ancora visibile.
Anche i numeri mettono
in risalto questa spaccatura ideologica che, tra l’altro, si vedeva
benissimo nel fine settimana camminando nei corridoi del Metro Convention
Centre.
I sostenitori di Belinda
Stronach, considerata esponente della sinistra del partito, non erano
certamente sorpresi della vittoria di Harper, ma di sicuro preoccupati in
quanto sanno che ora devono affrontare la dura realtà politica di accettare
Stephen Harper come loro leader alle prossime elezioni.
Sarà dura per
Harper convincere tutti questi tory che la fusione non si reduce ad un
accordo col quale il Partito Conservatore offre il nome e Canadian Alliance
offre i programmi. Tali sentimenti erano molto più visibili durante il
discorso, a volte traballante, del premier dell’Alberta Ralph Klein.
Il suo intervento
ha rafforzato il sospetto che tutto lo show fosse «made in Alberta» da un
gruppo in tournee in Ontario.
Harper è ovviamente
consapevole di questo problema e ne ha fatto chiaramente riferimento
tutrante il suo discorso dopo la vittoria quando ha parlato di partito
unitario. Egli ha comunque bisogno di qualcosa di molto più solido se vuole
seriamente superare questo ostacolo. Lui e Peter MacKay hanno messo insieme
le tessere dei sostenitori di Canadian Alliance e del Partito Conservatore,
non certamente, almeno per ora, le loro ideologie.
Ma c’è stato un altro
importante riferimento di Harper nel suo discorso finale: la necessità del
suo partito di essere aperto «a tutti i canadesi».
Non so se la
sua era solo una affermazione retorica o la base di un programma.
Di certo anche
lui deve aver guardato alla folla che lo applaudiva al Convention Centre: la
quasi completa assenza dei gruppi minoritari, certamente delle minoranze
visibili. Le immagini della nomina tra Sheila Copps e Tony Valeri di qualche
settimana fa sembravano appartenere ad un altro pianeta.
I
cosidetti «etnici», è vero, sono considerati una riserva di voti ad uso e
consumo del Partito Liberale.
È però anche
vero che ultimamente il vecchio Partito Conservatore aveva aperto le sue
porte e la presenza di tutti i gruppi etnici ai loro congressi stava
aumentando sempre di più. Nel fine settimana, questa componente era
copmpletamente sparita. Harper deve convincersi che senza tale appoggio egli
avrà grossissime difficoltà durante le prossime elezioni non solo in
Ontario, ma anche in tutti i grossi centri urbani del Canada. E questo
potrebbe diventare un problema ancora più grosso se si va ad aggiungere alle
sue difficoltà in Québec e nelle Province Atlantiche, quartier generale dei
«conservatori rossi».
Può essere
certo che il Partito Liberale di Paul Martin incrementerà notevolmente la
sua attività in queste zone in vista delle imminenti elezioni.
Se
quindi il nuovo leader non prepara un piano concreto per superare questo
ostacolo, il suo Rubicone potrebbe di nuovo rimanere entro i confini del
Manitoba.
Anzi, considerando che il nuovo leader dell’Ndp federale, Jack Layton, ha
stabilito solidi rapporti con le organizzazioni provinciali delle province
centrali come il Saskatchewan e lo stesso Manitoba, il suo Rubicone potrebbe
«spostarsi» entro i confini dell’Alberta. |