Lunedi 8 marzo, 2004 |
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GAGLIANO:
«PROVERO'
LA MIA INNOCENZA»
È provato dalla
stanchezza, ma è deciso a lottare fino alla fine «per dimostrare la mia
innocenza e difendere la mia integrità».
Alfonso Gagliano, in una intervista al Corriere Canadese ha delineato la sua
linea di difesa che adotterà di fronte alla commissione parlamentare che
indaga sullo scandalo delle sponsorizzazioni in Québec ed ha espresso grosse
riserve sulla linea adottata dal governo per affrontare questa crisi.
«È
un periodo molto stressante. Non è certo facile convivere con l'accusa di
essere un truffatore ed altre cose di questo tipo. Per fortuna - dice l'ex
ministro ai Lavori Pubblici - ho il sostegno di mia moglie, dei miei figli,
dei miei nipotini e di qualche amico. Mi stanno aiutando a superare questa
fase terribile».
Secondo Gagliano stiamo assistendo ad un «fuggi, fuggi generale e ho l'impressione
che molte persone, a cominciare da me, avranno, almeno per un certo periodo,
la reputazione rovinata. Comunque, alla fine sono convinto che si arriverà
alla verità e a conoscere i fatti».
Come è possibile che nella sua posizione di ministro non si sia accorto di
niente?
«Capisco benissimo questa osservazione, ma per capire cosa è successo, si
deve prima capire come funziona il governo canadese».
Cioè?
«Il ministro prepara i programmi, ma passa la gestione ai funzionari che
devono seguire delle regole precise che esistono già. Ieri, guardano ad
alcuni documenti, mi è passato per le mani un contratto che vedevo per la
prima volta. Il ministero ha 14.000 dipendenti che gestiscono oltre 50.000
contratti l'anno con la gestione di fondi per oltre 10 miliardi di dollari.
Tra l'altro, il sistema non lo permette. Non appena lo fai, accusano il
ministro di favoritismi. Il sistema canadese è fatto in quel modo e chi non
lo sa ha difficoltà a capire».
Ma cosa sa lei del programma di sponsorizzazioni?
«Tanto per cominciare, il programma non è iniziato quando sono arrivato io:
c'era già ed esistono i documenti che lo provano. Una richiesta per il
finanziamento di programmi di sponsorizzazioni risale al novembre del 1996
firmata dall'allora ministro Diane Marlow e da Jean Chrétien per circa 18
milioni e con una precisa lista di eventi. Il ministero non aveva
sufficiente personale per gestire il programma e ha fatto ricorso ad agenzie
pagando la commissione del 15%. Non avevo alcun indizio che le cose stessero
andando male».
Sorpreso?
«Certo. Prendiamo il caso del Blue Nose: è incredibile che su un fondo di
oltre 2 milioni, l'organizzazione possa ricevere solo 359.000 dollari».
Conosceva il progetto?
«Certo, dovevo essere informato di qualsiasi progetto, ma solo perché dovevo
andare davanti al Consiglio dei ministri per chiedere i soldi. Mi ricordo
del progetto. Ma questo è che deve essere chiarito. Perché non chiamano le
agenzie di comunicazioni e chiedono loro spiegazioni?»
Crede che la sua origine italiana abbia contribuito a creare questa
situazione?
«Definitivamente. Ne sono convinto, non è la prima volta. Non ho più un
posto nel mio corpo per altre cicatrici. Per la prima volta un ministro
responsabile del Québec era di origine italiana. È ovvio che questo dava
fastidio a più di qualcuno. Tra l'altro, quando occupi posti di
responsabilità, spesso devi dire di no a più di qualcuno. Allora vi sono
persone che si arrabbiano e dicono delle fesserie. Chiesi una volta al
giornalista che scriveva continuamente quelle cose su di me, per quale
motivo si stesse accanendo proprio contro di me. Molto candidamente rispose
che non era lui ad accanirsi ma che riceveva lettere anonime tutti i giorni».
Se lei non sapeva niente, allora ha ragione Martin a dire la stessa cosa.
«Non ho mai parlato con Martin di questo, come non ne ho parlato con Jean
Chrétien. Non potevo, d'altra parte, parlare di cose che non sapevo. E se io,
come ministro responsabile del programma, non ne ero al corrente, come può
un altro ministro esserlo?»
Quando sono venuti fuori i primi problemi?
«Fu nel 2000, quando c'è stato il rapporto del revisore interno ordinato tra
l'altro proprio da me».
E cosa fece quando ebbe il rapporto?
«Mi ricordo che feci una domanda precisa al revisore e cioè se dovevo
chiamare la polizia. Mi disse no. Non c'è alcuna indicazione di frode. Lo
disse di fronte al vice ministro ed altre persone presenti all'incontro che
si tenne nel mio ufficio al quarto piano del Center Block.
Mi dissero che
c'erano dei problemi amministrativi e quindi preparammo un piano d'azione
per correggerli di 37 punti».
Ha parlato con Chrétien?
«L'ultima volta che l'ho chiamato fu prima del congresso per la leaderhip di
Toronto. Solo alcuni convenevoli e gli augurai buona fortuna».
E da allora?
«Sono stato molto sorpreso che lo scorso sabato, 6 marzo, Chrétien mi ha
chiamato di persona per dirmi che aveva visto le mie dichiarazioni in
televisione e che non aveva mai per un minuto pensato che io avessi fatto
qualche cosa di male».
Ma se pensava così, perché l'ha tolto dal governo?
«Anche li vi sono delle cose da chiarire in quanto si creano dei miti che
non esistono. Dopo le elezioni del 2000, nella primavera del 2001, stavamo
parlando del suo futuro. Di colpo mi chiese cosa io avessi in mente di fare.
Gli dissi che avevo deciso di non ripresentarmi alle successive elezioni.
Dopo aver fatto tante battaglie, e sapendo che la successiva leadership
sarebbe stata molto dura, non me la sentivo di continuare. Gli dissi che
quando sarebbe partito lui, sarei partito anch'io».
E lui?
«Mi disse che ero ancora giovane per andare in pensione e quindi mi chiese
cosa avessi intenzione di fare. Dissi che, se si fosse presentata l'occasione,
avrei preferito terminare il mio impegno pubblico con una carica come
ambasciatore. La discussione terminò lì».
E si arriva al rimpasto.
«La mattina del 14 gennaio del 2002 mi chiamò, mi parlò delle dimissioni di
Tobin e mi ricordò la conversazione che avevamo avuto. Mi disse che,
considerando il fatto che gli avevo detto di non ricandidarmi, c'era la
posizione in Danimarca a disposizione. In quel periodo ci fu la polemica di
Jon Grant, ma la causa della mia estromissione ha origini diverse».
Una volta
ho scritto che lei avrebbe appoggiato Martin. Avevo ragione?
«Martin un paio di volte mi ha chiesto se ero disposto ad appoggiarlo. Sono
stato aperto con lui e gli ho sempre risposto che ero il rappresentante del
primo ministro nel Québec e quindi, fino a quando Mr. Chrétien sarebbe
rimasto al suo posto, il mio posto era accanto a lui.
Il giorno
dopo che lui parte, gli dissi, chiamami e ne parleremo. Logicamente non mi
ha mai chiamato in quanto io sono partito prima di Chrétien».
Quanto questa polemica danneggia il Partito Liberale?
«Non sono
stato in politica da due anni ed è per me difficile esprimere dei giudizi.
Certo, vedo i sondaggi come tutti e sono stato anch'io all'opposizione.
Essi attaccano ma il governo ha deciso di lavarsi le mani dicendo che c'è
un'inchiesta pubblica. Questo è vero, ma nel frattempo c'è una elezione di
mezzo e quindi, come disse qualcuno, credo fosse Churchill, se nessuno si
difende, a forza di dire delle bugie, alla fine diventano verità».
Ed ora si parla di elezioni.
«La mia esperienza politica mi dice comunque che le elezioni si vincono o si
perdono quasi solo durante la campagna elettorale».
Se potesse tornare indietro, cosa cambierebbe?
«I cambiamenti su questi programma li avevo già fatti. Naturalmente, se
fossi venuto a conoscenza del rapporto del '96 probabilmente questo non
sarebbe mai successo. Non bisogna dimenticare che le ragioni che hanno
ispirato questo programma sono nobili, cioè difendere l'unità nazionale.
Chrétien decise di agire ed i risultati si sono visti. Oggi si chiedono come
mai lo stesso primo ministro e Gagliano firmassero direttamente per questi
programmi. Questo era un programma voluto dal primo ministro che aveva preso
personalmente il ruolo di leaderhsip per un programma che riteneva
necessario per tenere il Paese unito.
Per lo stesso motivo
fece venire il politico Stephan Dion in quanto lo riteneva articolato e
capace di spiegare cosa fosse il federalismo canadese. I fatti ci dicono che
avevamo allora un governo separatista ed ora ne abbiamo uno federalista e,
fino a quando Chrétien era al governo, i sondaggi vedevano i separatisti
spacciati. Ora è tutto cambiato.
Condivide la strategia del governo per affrontare questo problema?
«È difficile dirlo. Hanno preso la decisione che non c'è niente da
nascondere e rimandano tutto all'inchiesta pubblica. In teoria il governo ha
ragione. In politica però le cose vanno in un modo differente in quanto le
opposizioni cercano di sfruttare tutto a loro vantaggio.
Lo
capisco, anch'io sono stato all'opposizione. Se però nessuno si difende,
allora sarà difficile. Nel corso delle elezioni di cosa credi che si parlerà?»
Dicono che i soldi siano andati non alle persone ma al Partito Liberale.
«Dal 1993 le 8-9 agenzie di comunicazione, hanno contribuito con
650.000, nemmeno l'1% dei soldi raccolti dal partito che, tra l'altro, aveva
un deficit».
Ma mancano 100 milioni di dollari.
«Ed è ciò che mi chiedo anch'io. Perché non danno i dettagli dei costi?
Sinceramente non capisco cosa stiano facendo. L'opposizione attacca tutti i
giorni e nessuno risponde. Ecco la situazione».
Lei appare di fronte alla commissione la prossima settimana. Avremo
sorprese?
«Non credo. Voglio solo chiarire alcuni punti, come ad esempio la data
dell'inizio del programma e che tutti credono sia iniziato col mio arrivo al
ministero. Il programma esisteva già. Poi dipende dalle domande che mi
faranno».
Cosa si aspetta?
«Ovvio che non mi aspetto complimenti: sono nelle loro mani. Sono
disposto anche a rimanere a testimoniare il giorno successivo. Non credo che
ci sono delle sorprese. Mi fa piacere che tutti i documenti del Consiglio
dei ministri siano pubblici così ne posso parlare liberamente senza venire
meno al mio giuramento di ministro. Posso solo dire che dormo benissimo la
notte e mi sento completamente a posto con la mia coscienza». |