Venerdi 13 febbraio, 2004 | BACK | NEXT

DI PIETRO: "BOICOTTARE LE AZIENDE OFFSHORE"
Intervista al premier dell'Ontario:
«Riusciremo a pareggiare i conti pubblici»

di Angelo Persichilli
CORRIERE CANADESE 

«Se si vuole eliminare la corruzione e le operazioni finanziarie illecite, non basta avere dure leggi in casa, bisogna bloccare tutti i contatti con le aziende che operano nei paradisi fiscali»: lo ha dichiarato l'ex giudice di Mani Pulite, l'on. Antonio Di Pietro, in una intervista telefonica da Strasburgo al Corriere Canadese.
Ciò che sta succedendo in questi giorni in Canada ricorda ciò che accadde in Italia poco più di dieci anni fa. Non è che la tangentopoli italiana fosse iniziata con la ormai famosa operazione del 17 febbraio del 1992 con l'arresto di Mario Chiesa, colui che l'ex primo ministro Bettino Craxi definì un «semplice mariuolo». La pratica era in essere da anni e le indagini della procura milanese iniziate molto tempo prima. L'operazione, condotta dall'allora sconosciuto giudice Antonio Di Pietro, ora parlamentare europeo e leader dell'Italia dei Valori, portò l'intera vicenda alla ribalta nazionale ed internazionale. Si spera che ciò che è successo in questi giorni in Canada possa svilupparsi in una indagine piena ed efficace come quella condotta allora dal giudice Di Pietro ed i colleghi della procura di Milano.
Ovviamente Di Pietro, come ha precisato prima dell'intervista, non conosce la situazione attuale canadese e quindi i suoi commenti si riferiscono a degli elementi che sono caratteristici del fenomeno della corruzione in tutti i Paesi.

On. Di Pietro, cosa provoca fenomeno della corruzione?
«Questa moderna democrazia del capitale e degli affari, ha portato anche tanta corruzione e malcostume di un virus che, in realtà, è collegato direttamente all'esistenza stessa del modello liberale, democratico, capitalista degli Stati Occidentali. Perché è soltanto nel rispetto delle regole, che il libero mercato consente al miglior prodotto di andare avanti. Dove invece c'è la corruzione, vige l'accordo sottobanco, allora non sarà il migliore che va avanti ma il più furbo, il più corrotto».

Come si vede il Canada dall'Italia?
«Il Canada è un Paese che noi italiani vediamo molto bene, in modo molto positivo, soprattutto con riferimento alla presenza di tanti cittadini di origine italiana che hanno avuto molto successo ed hanno dato un'immagine positiva del nostro Paese.

Che consiglio darebbe al giudice che stà indagando sui presunti casi di corruzione in Canada?
«Se c'è stato qualche cosa in Canada che ha portato alla scoperta di malcostume è bene che venga scalzato alla radice. Non fare come si è fatto in Italia. Qui, scoperto il male, invece di curare il male stesso, hanno curato i medici, cioè i magistrati che sono stati criminalizzati. Spero che almeno in Canada, un Paese che amo molto, non succeda la stessa cosa».

Sorpreso di sentire queste notizie dal Canada?
«Il problema non è il Canada, l'Italia o altro. Se c'è un Paese occidentale che ancora non scopre fatti di corruzione è solo perché ancora non li ha scoperti, non perché i reati non siano commessi. È un virus che fa parte del modello di Stato. Il politico, per fare politica ha bisogno di tanti soldi. Egli ha però in mano le leve del potere per assegnare gli appalti. L'imprenditore, attraverso i soldi, può andare a chiedere l'appalto. È proprio in questa logica, se non si va a monte del problema, attraverso una serie di regole che noi chiamiamo "codice etico" e che deve definire e prevenire i conflitti di interesse, c'è sempre la paura di trasformare uno stato democratico, liberale, di libero mercato, in ultima analisi uno stato capitalista, in un sistema del tipo medievale. Non credo quindi sia il caso di differenziare tra Paesi più o meno onesti; il virus lo abbiamo tutti. La differenza c'è tra chi è più o meno capace di combatterlo».

Durante la sua attività di giudice, si è mai occupato del Canada?
«Si, quando mi occupai del trading della soia di cui si occupò Raul Gardini. Poi di altre società import-export col Canada. Senza entrare nei dettagli, mi creda, non c'è niente di nuovo sotto il sole».

Ci parli un po', in generale, della corruzione a livello internazionale, come funziona, quali sono i criteri principali. Come si saldano gli interessi locali e quelli internazionali.
«Guardi, fra un'ora prenderò la parola al parlamento europeo per parlare di un grosso caso che riguarda l'Italia, il crack Parmalat, delle globalizzazioni internazionali nel settore del latte. E vado a fare una proposta dura ma molto semplice: i Paesi moderni, europei e nordamericani, Canada compreso, devono uscire da una ipocrisia di fondo. Da una parte si danno, al proprio interno, delle regole di trasparenza molto dure sulla gestione dei bilanci delle società, dall'altra però permettono che le multinazionali, o società operano e che hanno la sede ufficiale in uno di questi Paesi occidentali, come Usa, Canada o stati europei, possano avere rapporti con società controllate con sede offshore, cioè in Paesi conosciuti come paradisi fiscali. Noi dobbiamo uscire da questo equivoco. Se è vero come è vero che la maggioranza delle transazioni illecite, e comunque non trasparenti, passano attraverso le banche che hanno il domicilio fiscale in questa Paesi offshore».

Come bloccarle?
«Molto semplice: basterebbe una legislazione da parte di tutti questi Paesi occidentali, Canada compreso quindi, per porre un embargo e proibire alle proprie società di avere rapporti con altre società di Paesi che non adottano le stesse leggi trasparenti adottati dal proprio governo».

Si parla in questi giorni proprio di una flotta del primo ministro canadese che batte bandiera straniera.
«Anche il nostro primo ministro ha una sessantina di aziende offshore. La realtà è che non si può pretendere dai propri governati un comportamento più corretto dei propri governanti».

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