Martedi 17 febbraio, 2004 | BACK | NEXT

IL DILEMMA DI MARTIN

di Angelo Persichilli
CORRIERE CANADESE      (English Version)

È cominciato come una battaglia tra due persone, Jean Chrétien e Paul Martin. La situazione è ora però ben al di là della reputazione dei due leader politici ed in molti si chiedono fino a che punto questa faida possa arrivare mettendo sempre più in pericolo l'esistenza del Partito Liberale e lo stesso sistema democratico del Paese.
I canadesi sono gente tollerante ma anche pragmatica. Sanno che un sistema democratico si mantiene grazie all'esistenza di un governo e di una opposizione.

Per dieci anni abbiamo dimostrato al mondo che si può avere una democrazia anche senza opposizione.
Ora si rischia di fare un esperimento molto più pericoloso: dimostrare che può esserci democrazia anche senza governo. Credo che però non si debba esagerare con gli esperimenti.

Fino ad ora, mentre i conservatori hanno pensato solo a litigare tra di loro, i liberali, bene o male, hanno assicurato una guida al Paese.

Ma il merito va ai canadesi. Se infatti la nazione è ancora tutta intera dopo dieci anni di democrazia monca o, se mi consentite l'ossimoro, di dittatura democratica, è dovuto quasi esclusivamente al comportamento responsabile dei cittadini che non hanno approfittato del vuoto di potere al vertice, che all'abilità dei liberali di vincere tra elezioni consecuti-ve. L'elettorato ha fatto l'unica cosa possibile: ha "parcheggiato" il voto nell'unico partito na-zionale disponibile.

Ciò che vediamo oggi è il ripetersi degli eventi del 1993, all'epoca del governo Mulroney. Il Partito Conservatore non è stato distrutto né dall'elettorato, né dai liberali, ma dagli stessi conservatori. Certo, nel 1993 avrebbero preso una sonora batosta elettorale, come quella dei liberali nel 1984, ma non sarebbero stati ridotti a due deputati. Dopo qualche legislatura sarebbero tornati al governo. Infatti già nel 1997 cominciarono ad affiorare dubbi sui liberali. Ma i conservatori non c'erano.

Certamente nel 2000, gli elettori erano pronti a sbarazzarsi dei liberali ma, di nuovo, i tory non c'erano. A distruggere il partito è stato il comportamento litigioso, vendicativo, quasi pettegolo dei suoi leader che ha consentito a Chrétien di rimanere al potere.

Ora, nel 2004, la malattia si è propagata al Partito Liberale: riuscirà a sopravvivere?

La risposta non sta nelle mani dei cittadini, ma in quelle dei liberali. Come per i conservatori, saranno loro che potranno distruggere o meno il partito. Ci sono voluto 10 anni ai conservatori per capire, almeno sembra, che il loro partito poteva risolvere i propri problemi solo all'interno. Non è una coincidenza che si va verso l'unità solo dopo il ritiro di Preston Manning e Joe Clark Torniamo ai liberali.

Chrétien è in pensione, rimane Martin. Egli non deve andare via, a condizione però che non commetta gli stessi errori commessi da Clark, il quale non riuscì a superare i rancori personali e guardare al di là del partito.

Martin ed i suoi più stretti collaboratori hanno sbagliato nel credere che potevano andare alle elezioni col 50% dei liberali che remavano in direzione opposta.

Il Partito Liberale è ora diviso proprio come lo era il Partito Conservatore nel 1993. Martin insisterà nell'affrontare l'elettorato in pochi mesi, come un Titatic verso l'iceberg, o blocca i motori, controlla l'equipaggio, studia le mappe e trova una soluzione ai problemi interni? Entrambe le ipotesi sono difficili.

Molte delle persone vicino a Martin, ora al potere, hanno creduto per dieci anni che il nemico fosse Jean Chrétien, non Preston Mannig o Stephen Harper. Rimettere insieme questi due gruppi non sarà facile; soprattutto ora che si è inserito un altro gravissimo elemento: il fetore che emana il programma delle sponsorizzazioni nel Québec.

Fino a qualche settimana fa i due gruppi forse combattevano la guerra della leadership: ora uno cerca di evitare la disfatta elettorale, alcuni membri dell'altro, forse, il carcere. Non dimentichiamo, dicono le opposizioni, che mancano 100 milioni di dollari. Ormai non è più questione di volontà reciproca: ci sono 100 milioni di escrementi che volano e dovranno pur cadere sulla testa di qualcuno.

Cosa rimane quindi da fare? Se Martin non ha il Partito Liberale unito dietro di lui, il suo governo non durerà molto alla Camera; non può certo invocare la lealtà al leader: tale mercanzia è scomparsa da anni nel supermarket liberale.

Elezioni inevitabili, dunque? Martin per ora non risponde, ma sembra andare in quella direzione: mettere tutto sul tavolo, aumentare il dialogo diretto con i cittadini, ripulire la stalla e sperare che i canadesi gli credino premiando la sua onestà e perdonando la sua ingenuità nel non essersi accorto di ciò che accadeva sotto il suo naso.

Considerando comunque i sondaggi degli ultimi giorni, forse dovrà rimandare la consultazione. In entrambi i casi, Martin si trova di fronte ad un viaggio molto burrascoso.

George Bush non è riuscito a trovare le armi di distruzione di massa. Martin forse ne ha trovata una al ministero dei Lavori Pubblici.

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