«Non ho alcun
dubbio: se Trudeau fosse vivo, oggi voterebbe Ndp».
Jack Layton, leader del
New Democratic Party of Canada, ha pochi dubbi e tante certezze.
Una di queste
è il ruolo che il leader liberale più carismatico dell'ultimo secolo, Pierre
Elliot Trudeau, avrebbe svolto in questa fase di grandi cambiamenti politici,
sociali ed economici in Canada.
In una intervista al Corriere il leader neodemocratico ha spiegato il nuovo
corso dell'Ndp a livello nazionale, parlando del governo liberale di Martin,
ma anche della sua battaglia per la conquista del seggio Toronto-Danforth,
ora rappresentato dal deputato liberale Dennis Mills.
Mr. Layton, quali sono le differenze tra lei e Dennis Mills che è
ritenuto uno dei pochi esponenti della sinistra liberale rimasto in corsa
per le prossime elezioni? Perché ha deciso di correre contro un avversario
forte e, tutto sommato, tra i più vicini alla sua piattaforma politica?
«Sono tante e significanti. Lui, infatti, appartiene a un partito guidato da
un leader molto, molto conservatore. Credo che anche Dennis sia d'accordo su
questo. Sono rimasto infatti molto sorpreso quando l'ho sentito, all'ultimo
momento, venire fuori appoggiando Paul Martin».
Non è presto per giudicare Martin?
«No. Il nuovo primo ministro è un conservatore alla guida del Partito
Liberale. Lo abbiamo visto dal suo primo provvedimento una volta salito al
potere: ha confermato il taglio alle tasse alle corporazioni che
risparmieranno 4 miliardi e 400 milioni di dollari. Non mi sembra questo un
provvedimento che un leader liberale approverebbe, soprattutto nel momento
in cui c'è bisogno di investire nelle nostre comunità. Lui dice che è
complicato e non ci sono soldi per le città e finanziamenti per il settore
dei trasporti e edilizia popolare. Perché non ha detto la stessa cosa alle
corporation, come invece ha fatto il premier dell'Ontario Dalton McGuinty?
Questa è la maggiore differenza: fa parte di un partito che ha eliminato
qualsiasi elemento progressista presente nei primi programmi di Pierre
Trudeau. Io
stesso mi sono iscritto all'epoca al Partito Liberale in Québec.
C'era l'idealismo
di un governo di minoranza appoggiata dall'allora leader dell'Ndp David
Lewis. Si iniziò con l'edilizia popolare, il controllo sugli investimenti
stranieri, un programma energetico nazionale.
Ora è sparito tutto»
Se Trudeau
fosse vivo oggi lei crede quindi che non voterebbe per il Partito Liberale?
«Certamente no,
senza ombra di dubbio. Voterebbe per l'Ndp. Sono convinto.
Guarda l'approccio
di questo governo verso l'immigrazione e paragonalo con quello di Trudeau.
So che molte persone hanno votato per il Partito Liberale perché ricordano
Pierre Trudeau, il leader che aprì le porte ai nuovi canadesi. Allora il
multiculturalismo era accolto con gioia. Ora le cose sono completamente
cambiate. Vi sono famiglie che hanno difficoltà a far venire i loro cari. Le
riunioni familiari sono sempre più difficili. Noi in Nord America forse non
riusciamo a capire che in molti altri Paesi i legami familiari sono molto
forti».
A proposito di unità familiare. Lei al Parlamento di Ottawa, sua moglie,
Olivia Chow al comune di Toronto. Non ha pensato di riunire la sua famiglia
in un unico Parlamento, ovvero, sua moglie concorrerà a livello federale?
«Ci sono molte voci a questo proposito. Molto dipende da cosa succederà al
consiglio comunale di Toronto. Indubbiamente vi sono molte persone che
ritengono che la sua voce sarebbe molto importante nel Parlamento federale
ma è una decisione che spetta solo a lei».
Insomma niente di definitivo.
«In politica mai dire mai. Fra qualche mese vedremo».
E, dalle unioni familiari, a quelle sindacali. Sembra che ci siano delle
divisioni. A
livello provinciale ho sentito ad esempio commenti differenti sul governo
McGuinty da parte, ad esempio, di Samuelson oppure di Hargrove.
«Io posso parlare solo a livello federale e posso assicurare che c'è una
grossa unità di intenti e di appoggio verso il mio partito da parte di tutti
i sindacati. Fino ad ora sono stati di grande aiuto anche economico, cosa
questa che dal 31 dicembre non possono più fare. Posso comunque dire che la
leadership sindacale canadese è solida nell'appoggiare il mio partito».
A proposito delle nuove leggi sul finanziamento. Sindacati e grosse
corporazioni non possono più fare come nel passato.«Per noi sarà
certamente più difficile.
Circa il 30-40
per cento dei nostri fondi venivano dalle unioni sindacali. Ciononostante,
sotto molti aspetti i cambiamenti sono positivi».
Avrebbe più indipendenza.
«Certo, si sarà più indipendenza, ma posso dire che l'appoggio sindacale è
solido».
Parliamo dei vostri programmi e delle priorità.
«Il nostro lavoro è quello di promuovere sempre di più una agenda per le
città. Paul Martin lo sa. La ragione principale per cui sono venuto a Ottawa
è perché vedevo le difficoltà in cui si dibattevano, e si dibattono le varie
comunità. Loro hanno problemi, ma anche idee per risolverli e la capacità
per metterle in atto. Il problema comunque è che non hanno fondi. Le città
ottengono solo 7 centesimi su ogni dollaro raccolto dalle tasse. I governi
provinciale e federale intascano gli altri 93 centesimi. Ciononostante si
chiede alle municipalità di gestire e sostenere il settore dei trasporti,
dell'edilizia popolare, l'istruzione dei nostri figli e molto di più. Per
fare questo hanno bisogno di fondi. Ciò già accade in molti altri Paesi,
soprattutto europei. Il finanziamento degli enti locali è come mettere l'olio
nel motore. Senza olio ci sembra di viaggiare speditamente, salvo poi a
sbattere contro un muro. Basta girare per le nostre città per capire che il
paragone con ciò che avevano negli anni 60-70 è come quello tra il giorno e
la notte. Martin spara sempre grosse idee, parla da grande pensatore con
nuove idee e con il suo new deal. Quando però si arriva all'atto pratico
tutto diventa complicato: questo non si può fare perché, dice, dobbiamo
esaminare questo e quello. La realtà è che non c'è niente di complicato:
prendi parte dei soldi sulla tassa sul carburante e dallo alle città per
risolvere il problema dei trasporti. Gli amministratori locali hanno le idee
e le capacità per realizzarle. Non c'è niente di complicato nel capire che
hanno bisogno di soldi, punto e basta».
Insomma molti dei problemi potrebbero essere risolti finanziando
adeguatamente le città. Ma non sono le Province che le gestiscono?
«Il governo federale deve cambiare l'approccio e riconoscere che molti
dei problemi locali, come l'edilizia popolare e dei senzatetto, sono un
problema nazionale che verrà sentito soprattutto nei centri urbani. Gli
amministratori locali lo sanno, i cittadini canadesi lo sanno: lasciamoli
amministrare e risolvere i loro problemi. Questo lo abbiamo detto nei dieci
anni in cui Martin è stato ministro delle Finanze ma ci ha sempre risposto
che non c'erano soldi. Ma quando li ha avuti li ha spesi per tagliare le
tasse. Un atteggiamento questo estremamente conservatore. Credono che il
problema lo risolverà l'iniziativa privata. Sappiamo come questo va a finire».
Parliamo del «suo» socialismo. Qual è il modello che lei propone? In quale
Paese possiamo vederlo?
«Credo che in
Canada abbiamo il nostro socialismo. Abbiamo la nostra storia. Abbiamo il
socialismo democratico del Saskatchewan con Tommy Douglas. Questo socialismo
ha già avuto un grosso impatto sul Canada. Se noi chiediamo ai canadesi cosa
apprezzano di più della loro nazione rispondo che è il 'medicare' il nostro
sistema sanitario inventato proprio dall'Ndp. Noi abbiamo molto da offrire
agli altri Paesi».
E cosa abbiamo da imparare?
«Molto.
Specialmente dal socialismo di alcuni Paesi del nord Europa, come la Svezia
e la Danimarca, soprattutto in settori come l'energia e l'ambiente. Abbiamo
da imparare dal socialismo di alcuni Paesi del sud Europa che mettono molta
enfasi sulla promozione della cultura e dell'arte. Vedono questi settori
come parte integrante delle strutture locali. Abbiamo bisogno di fare la
stessa cosa in Canada. In Brasile abbiamo il socialismo del presidente Lula
che è riuscito a tenere testa agli americani sul tema dell'interscambio
commerciale internazionale. Egli crede che l'abbattimento delle barriere
doganali non sia solo un elemento per consentire alle multinazionali di fare
più soldi , ma si tratti anche commercio più equo, diritti dei lavoratori,
diritti umani, nuovi standard nel posto di lavoro e per l'ambiente. Abbiamo
quindi da imparare da molti, ma abbiamo anche l'opportunità di imparare
dalla nostra stessa storia».
E dal
socialista Tony Blair?
«Devo dire di essere estremamente contrario alla sua politica in Iraq. Ci
sono comunque alcune iniziative sociali, sopratutto nel settore sanitario,
che meritano attenzione».
Parlando dell'Europa, numerosi partiti socialisti si vedono minacciati
dall'emergente partito dei Verdi. Questo fenomeno non la preoccupa?
«Il modo migliore per rispondere a questa preoccupazione è quello di avere
una efficace politica per la difesa dell'ambiente.
E noi l'abbiamo. Sono io
stesso molto conosciuto per le mie vedute in questo settore. Per questo
motivo, ad esempio, l'ex leader dei Verdi canadesi ed alcuni membri del
direttivo dell'organizzazione sono entrati nel mio partito.
Non perché
siano critici dell'azione della loro organizzazione, ma perché ritengono il
modo migliore per promuovere la loro agenda. E l'agenda dei Verdi è molto
forte all'interno della programmazione dell'Ndp di Jack Layton. Ma c'è un
altro fattore: la vecchia battaglia tra i lavoratori e gli ambientalisti è
cambiata e ora si lavora molto di più insieme».
L'Ndp è comunque a favore del cambiamento del sistema elettorale e
propone quello proporzionale. Ciò favorirebbe partiti come quello dei Verdi.
«Esatto. Un sistema proporzionale, che funziona molto bene in numerosi Paesi
europei, e che darebbe la possibilità ai canadesi che non ci ritengono
sufficientemente forti nel rappresentare certe loro idee, di appoggiare un
altro partito. A questo proposito sono molto sorpreso dalla decisione di
Paul Martin di non appoggiare la nostra proposta per un referendum popolare
sulla scelta di un altro sistema elettorale. In caso di governo di minoranza
la nostra partecipazione ad un governo di coalizione sarebbe condizionale
proprio all'accettazione dell'iniziativa di fare tale referendum».
Mr. Layton,
chiudiamo da dove abbiamo aperto. È più facile battere Mills o Martin?
«Martin. Lui è appoggiato da grosse lobby finanziarie, ha un appoggio
economico grandissimo. Questo gli ha consentito di mettere insieme una
grandissima quantità di soldi e ciò rende tutto difficile. Io non concorro
contro Dennis Mills. Sono il leader di un partito nazionale e quindi io
concorro contro Paul Martin».