|Lunedi 17 novembre, 2003 |
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TRAPPOLE NASCOSTE
Paul Martin era sul podio e si
accingeva a pronunciare un discorso che suo padre avrebbe voluto pronunciare
circa 40 anni fa; la moglie Sheila, seduta in tribuna d’onore, lo osservava
inebetita, quasi terrorizzata. Guardavo, dal centro dell’Air Canada Centre,
alternativamente lui, che non riusciva a cominciare quel discorso, quindi lei
quasi bloccata dal terrore che l’emozione potesse rovinare il momento che il
marito attendeva da circa 40 anni. Alla fine, vincendo l’emozione, Martin ha
detto: «Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non fino a questo punto».
Sheila Martin è forse l’unica
persona che conosce i sacrifici, le lotte, le umiliazioni, che il marito ha
dovuto sopportare negli ultimi 13 anni, da quando cioè egli fu sconfitto a
Calgary da Jean Chrétien nel 1990.
Pochi leader liberali hanno dovuto lavorare
tanto, e tanto a lungo, per giungere al vertice. La lotta per
la conquista della leadership liberale è probabilmente iniziata circa 40 anni
fa, con Paul Martin Sr., sconfitto da Pierre Trudeau, e conclusasi con la
vittoria ufficializzata il 14 novembre all’Air Canada Centre.
Pochi mettono in dubbio il
grosso contributo di Martin al partito, al governo ed al Paese; nessuno dubita
delle sue capacità politiche e professionali. Martin merita di
diventare il primo ministro del Canada.
In mezzo a tante celebrazioni può sembrare
inopportuno parlare di preoccupazioni, ma anch’esse però fanno parte del
dibattito politico e quindi è giusto rilevarle. Se non altro per mettere in
guardia di fronte ad alcune trappole tanto insidiose quanto, almeno per ora,
invisibili.
La prima riguarda le
aspettative dei suoi sostenitori, del partito e dei canadesi. Quando le
aspettative sono molto alte, i pericoli aumentano parallelamente. La vittoria
di sabato sera deve essere considerata non il coronamento di un sogno, ma il
principio di una impresa tutta ancora da presentare e realizzare.
Si tratta di una impresa molto
difficile, proprio a causa delle eccessive aspettative, e per riuscire Martin
ha bisogno dell’appoggio di tutti. Spero che la vittoria di questo fine
settimana venga usata dai suoi consiglieri per farsi nuovi amici, non per
pareggiare i conti con i loro nemici (che sono tanti).
Spero che essi siano consapevoli del fatto che
vincere una leadership è differente dal vincere una elezione. Se non altro
essi hanni impiegato 13 anni per fare di Martin il leader del Partito Liberale,
ma avranno solo 13 settimane per vincere una elezione. E ciò comporta dinamica,
approccio e capacità differenti.
Fino ad ora Martin e la sua squadra hanno
avuto l’opportunità di lavorare indisturbati, senza avere sulle spalle il peso
di governare il Paese, senza l’assillo dell’attenzione dei media e della
pubblica opinione. Sono stati in questo indirettamente «protetti»
da Jean Chrétien che si è preso tutte le critiche della stampa e dei cittadini.
Inoltre, ogni critica contro Chrétien era un appoggio in più per Martin.
Inoltre l’opposizione: solo ora si comincia a chiedere se le sue aziende hanno
avuto contratti dal governo per 132.000 dollari o per 132 milioni.
Martin è ora amato dai liberali, rispettato
dai canadesi, apprezzato a livello internazionale. Tutto vero
e giusto. Ma vi sono delle coincidenze che non dovrebbero sfuggirgli.
Paul Martin non è Ernie Eves e
Paul Martin non è Barbara Hall. Ma è anche vero che egli, come Eves, è un ex
ministro delle Finanze che ha preso il posto del suo leader. Eves vinse la
leadership perché aveva convinto i conservatori che sarebbe stato l’unico in
grado di vincere le prossime elezioni. I cittadini dell’Ontario hanno avuto
una opinione differente. Certo, la popolarità dei conservatori era bassa,
mentre quella dei liberali federali è alta; ciononostante il problema più
grossi di Eves è stato quello di non essere riuscito a definire una sua
personalità. Voleva prendere le cose buone fatte da Mike Harris e, nello
stesso tempo, dare l’impressione di rinnegare Mike Harris presentandosi come
una entità nuova, differente. Ha tagliato col passato dimenticando che lui era
parte integrante del passato. Come ministro delle Finanze aveva preso solo le
lodi dei cittadini per avere sistemato le casse provinciale, mentre i tagli
alla sanità ed all’istruzione voleva lasciarli sulle spalle di Mike Harris. Ha
funzionato quando era ministro delle Finanze, quando però i riflettori si sono
puntati su di lui come premier, le due contraddizioni sono emerse in tutta la
loro gravità.
Anche Martin è ricordato dai
canadesi come il ministro delle Finanze che ha risolti i problemi economici
del Paese. Su di lui si punteranno ora i riflettori dell’opinione pubblica e
della stampa nazionale e dovrà rispondere una una domanda che ogni candidato,
per qualsiasi posizione, dovrà memorizzare prima di entrare in lizza : perché
vuole diventare primi ministro? Perché il capo del suo governo è stato mandato
via dopo aver vinto tre elezioni consecutive e ridando vigore all’economia
nazionale «lasciando il Paese – come lui stesso ha detto – in una situazione
migliore di quella in cui si trovava al momento del suo arrivo al governo» ?
Adesso che Chrétien sparisce
dal video, i riflettori sono puntati su di lui e le risposte devono arrivare.
Certo, lui è popolare nei sondaggi di opinione, contrariamente a Ernie Eves,
ma anche Barbara Hall era popolare nei sondaggi e, solo quattro settimane
prima del voto la sua popolarità sfiorava il 50%.
Perché è crollata?
Perché i cittadini di Toronto
erano stanchi di Lastman ed avevano parcheggiato la loro opposizione
nell’unica persona di cui ricordavano il nome : Barbara Hall. Spartito Lastman
i riflettori sono stati puntati sulla Hall e ciò che per la prima volta i
cittadini hanno visto, non deve essere piaciuto e si sono inventati un nuovo
sindaco, David Miller.
Paul Martin non è Ernie Eves,
che aveva il charisma di Robocop, e Paul Martin non è Barbara Hall, le cui
capacità di comunicare le facevano perdere l’uno per cento dei voti ogni volta
che appariva in televisione.
Ciononostante vi sono molte
similitudini nelle due precedenti elezioni che Martin ed il suo gruppo non
possono ignorare. Essi devono convincersi che la conquista del potere è la
parte più facile per un politico: il difficile è mantenerlo. |