«La maggiore differenza tra me e gli altri candidati alla
leadership liberale è probabilmente la visione sul futuro del Canada». Il
ministro dei Beni Culturali, Sheila Copps, non usa mezzi termini nella sua
intervista al Corriere Canadese. Nel corso di un colloquio nell'ufficio di
Parliament Hill, il ministro ha parlato, oltre che della leadership in corso
all'interno del Partito Liberale, anche dei difficili rapporti tra il Canada e
gli Stati Uniti, della necessità di difendere la cultura canadese, del
bilinguismo e del multiculturalismo.
Questo il testo integrale dell'intervista.
Ministro Copps, come si sta sviluppando la sua campagna
per la leadership?
«Sono estremamente soddisfatta. Sto lavorando in tutto il Canada e sono
contenta del risultato fino ad ora conseguito. Mi piace fare campagna
elettorale».
Cosa cambia ora con la candidatura del ministro Manley?
«Ingarbuglia un po' le cose ma significa anche che i liberali avranno più
scelte da fare. Ciò credo sia buono per tutti: più sono i candidati, meglio è
per il partito ed il successo della convention».
Ministro Copps, perché i liberali dovrebbero votare per lei?
«Credo che la maggiore differenza tra noi è il modo di vedere il futuro del
Canada. Credo che una delle sfide che il Canada deve affrontare riguarda la
necessità di creare un Paese che accetti più diversità, aprendo veramente le
porte a tutti i cittadini. È come un matrimonio; si può avere un'ottima unione
ma se non si curano questi rapporti si rischia di distruggere tutto. Credo che
il partito, ma soprattutto il governo liberale debba fare uno sforzo maggiore
per raggiungere tutti, includendo non solo le varie "diversità" regionali, ma
anche quelle demografiche».
Come descrive la situazione in questo momento?
«Credo che vi sono molte positive attività nel settore privato ma ci sono
persone che ancora nel 2003 si sentono sotto certi aspetti emarginati nel
settore pubblico. E questo ci riporta alla discussione avuta tanti anni fa a
proposito del ruolo degli immigrati e delle donne. Si possono fare tantissime
cose, ma vi sono ancora posti dove non si può accedere. Io voglio battermi
affinché nessuno debba vivere in una società dove vi sono ancora sogni
proibiti, posti dove non si può andare o ambizioni che si è costretti ad
accantonare».
Ho intervistato il consigliere di Hamilton Larry Di
Ianni il quale ha detto che prima di prendere una decisione per la candidatura
di sindaco vuole vedere, tra le altre cose, se un canadese di origine italiana
può essere accettato. Come mai in un Canada multiculturale abbiamo ancora
questi problemi, mentre nel melting pot americano abbiamo avuto Rudy Giuliani
sindaco di New York?
«Hanno avuto anche Fiorello La Guardia».
Esatto. Ma perché in Canada vi sono ancora queste
barriere?
«In effetti non dovrebbero essercene. È assurdo che nel 2003 l'origine etnica
sia ancora un fattore che influenza il voto politico. D'altra parte nei
consigli della pubblica amministrazione non vediamo molti nomi italiani, e
neppure molte donne. Certamente non vi sono minoranze visibili. E questo è il
nocciolo della questione. Il tetto invisibile non c'è nel settore privato, tra
gli imprenditori, nel mondo degli affari in generale e dove si crea benessere.
È diverso invece quando si parla delle strutture pubbliche e del servizio
pubblico. Il fatto che il 14% della popolazione appartenga alle minoranze
visibili e solo il 7% riesce ad entrare nella pubblica amministrazione è un
qualche cosa che deve cambiare. Situazione ancora più critica quando si parla
di posizioni più importanti come quelle di capo di gabinetto e certamente non
riflette la realtà di questa nazione».
Il Canada è un Paese bilingue e multiculturale. Perché
ha bisogno di miliardi di dollari per finanziare il bilinguismo e non mette in
preventivo alcun finanziamento per il multiculturalismo?
«Credo che Canadian Heritage dovrebbe appartenere a tutti. Non credo che sia
giusto convogliare individui solo verso la porta del multiculturalismo. Tale
settore è stato solo una piccola parte del mio ministero e ciò che veramente
vogliamo è di aprire a tutti le porte del Canada Council. Per questo motivo
abbiamo ora la sezione multiculturale all'interno del Canada Council. Abbiamo
chiesto alla Cbc ed ai broadcaster privati di riflettere meglio la diversità
canadese. Innanzitutto credo che avere due lingue ufficiali crea un Paese che
stabilisce subito un criterio molto importante: nessun gruppo deve prevalere
su tutti. È un ottimo punto di partenza per giungere ad un completo rispetto
delle diversità».
E il multiculturalismo?
«Credo che per andare verso il futuro si debba sotto certi aspetti tornare
indietro. Mi ricordo i giorni in cui c'erano consistenti finanziamenti per
l'Heritage languages program, quando c'erano congrui fondi per il Canadian
Etno-cultural Council e le opportunità per tutti i canadesi di interagire
meglio tra di loro».
Cosa propone?
«Di nuovo, guardare a quello che abbiamo fatto nel passato. Vedere come
mettere insieme i vari gruppi non solo dal punto di vista regionale ma anche
culturale. E questo è lo scopo del congresso di aprile».
Dai rapporti interni a quelli internazionali, in particolare a quelli con
gli Stati Uniti. Come li descriverebbe quelli attuali?
«Certamente abbiamo delle grosse divergenze sulla posizione americana in Iraq,
entrati in guerra senza il consenso delle Nazioni Unite. Si tratta comunque di
legittime divergenze tra due Paesi democratici e non credo che dovrebbero
avere impatto su altri settori. Di certo c'è una grossa interdipendenza
economica tra i due Paesi. Questo comunque non significa assolutamente che noi
siamo loro nemici; significa solo che abbiamo delle legittime divergenze».
Sono volate parole grosse...
«Sì, da entrambe le parti, ma la relazione tra i due Paesi è molto solida e
potrà superare queste tensioni. In molte di quelle parole c'è comunque tutto
il significato di questa profonda divergenza. Trovo tra l'altro interessante
come alcuni ambienti giornalistici canadesi usino facilmente il termine anti-americano
quando si parla solo di divergenze di opinioni. Questo anche per certi membri
dell'opposizione come ad esempio Canadian Alliance. Noi abbiamo il diritto di
esprimere una nostra opinione basata su una legittima divergenza. Divergenza
condivisa dalla maggioranza dei canadesi. Abbiamo il diritto di parlare in
nome dei cittadini di un Paese sovrano».
Un Paese sovrano i cui confini, anche a causa della nuova tecnologia, sono
sempre meno chiari.
«Siamo dei partner dal punto di vista geografico e certamente abbiamo un
rapporto privilegiato, un dono naturale ma anche della storia dei due Paesi».
La domanda è: cosa dobbiamo fare per
difendere i nostri confini nel futuro?
«Credo che le istituzioni debbano rinnovarsi con i tempi. Ad esempio il
settore della musica. Stiamo alla vigilia di una grossa manifestazione a
Ottawa con i Juno Awards. Manifestazione, questa, che promuoverà
indirettamente e direttamente centinaia di artisti canadesi. Questo perché vi
sono nuove policy. Ad esempio quando noi concediamo una licenza per una
stazione radio vogliamo che vengano promossi artisti canadesi e la loro musica.
Inoltre nel 2003 ogni giovane canadese che ricorre all'uso degli MP3 saprà che
la tecnologia può prendere il sopravvento sulla cultura se non troviamo dei
modi per difendere i diritti d'autore. Negli ultimi dieci anni abbiamo
imparato a capire meglio l'impatto della tecnologia. Se confrontiamo questo
all'era dell'agricoltura, che durò centinaia di anni, a quella della
rivoluzione industriale, durata 75 anni, per l'epoca dell'informazione abbiamo
avuto solo dieci anni per capirla ed adattarci».
Ci possiamo riuscire?
«Credo che in Canada abbiamo un ottimo modello, ma certamente non significa
che siccome abbiamo fatto le cose in un certo modo, dobbiamo continuare a
farle seguendo la stessa linea».
Che cambiamenti si aspetta?
«Abbiamo già cominciato. Ad esempio guardiamo al Feature film fund. Adesso è
strutturato in modo che si premia chi ha successo, mentre prima si
finanziavano film che non raggiungevano a volte nemmeno le sale di proiezione.
Adesso vi sono investimenti legati anche ai finanziamenti che giungono dal
settore privato. Non vi sono semplici sussidi, ma investimenti e sgravi
fiscali. Sta funzionando molto bene».`